
È passata una settimana da quando A. F. (iniziali di fantasia), quarantenne modenese, è stata massacrata di botte dal suo compagno nell’auto lanciata a tutta velocità. Non è una novità che l’ultimo incontro di una coppia legata da una relazione violenta si risolva in un agguato per la donna, se questa è decisa a lasciare l’uomo. I pretesti possono essere svariati, la gelosia prima di tutto, ma la verità è sempre una: la mancata accettazione e il possesso dell’oggetto. La donna, pestata e sfigurata con ferocia, è stata presa in carico dai Carabinieri di Modena, eppure, dopo sette giorni, nulla si è mosso. Ci si aspetta che nei giorni successivi a quei “40 minuti di orrore”, come lei li ha definiti, succeda almeno qualcosa, che scatti per la vittima una qualche forma di protezione, che l’ex compagno denunciato per aggressione, e con precedenti, sia messo agli arresti o quantomeno sia contattato per rispondere dell’accusa. Invece, quello che è successo ad A. F., madre separata di un adolescente è il nulla più assoluto. Si trova in assenza di protezione a dover chiedere ai conoscenti, e al gruppo di sostegno che l’ha accolta e supportata nel difficile percorso di uscita dal rapporto violento, che tengano sotto controllo i suoi spostamenti e quelli del figlio, dato che è stata messa in stand by dai Carabinieri che le prospettano tempi tecnici che possono variare da una settimana a un mese o forse più perché, dopo il loro intervento, tutto passa in mano al PM.
“A.F. è una libera professionista che, dall’inizio del lockdown, non ha percepito un euro dalla sua attività e cha ha solo adesso la possibilità di riprendere a lavorare e a guadagnare”, afferma Paola Vigarani, counselor e mediatrice familiare del Centro Armonico Terapeutico di Campogalliano, nota sul territorio per il suo impegno nel contrasto alla violenza nella relazione di intimità, a cui la vittima si è rivolta in cerca di aiuto, “è escluso che possa rinchiudersi in una casa protetta, l’unica soluzione prospettata dalle forze dell’ordine, avendo un figlio da mantenere”. Il C.A.T. è stato ufficialmente dichiarato “centro di seconda accoglienza” (dopo i centri antiviolenza) e vanta al suo interno l’esistenza di un gruppo di auto mutuo aiuto di donne vittime di violenza, Le Fenici, che con una chat di whatsapp e una casella mail attivata in quest’ultimo periodo per tutte le donne chiuse in casa con i loro carnefici, cercano con le loro sole forze di colmare questi vuoti sistemici. Il clima della chat è passato in una settimana dall’entusiasmo della denuncia alla rabbia e all’impotenza di oggi. Quasi nessuna donna ha il coraggio di denunciare, la paura impedisce il passo decisivo, soprattutto quando di mezzo ci sono dei figli. E chi, vista la situazione attuale, potrebbe darle torto? Nella chat delle Fenici ci sono foto impressionanti delle violenze subite dalle donne che non possono essere pubblicate, ci sono nomi e cognomi che non possono essere fatti, anche quando potrebbero salvare future vittime, ci sono le norme della privacy e c’è la legge ma, di fronte al nulla di fatto e al senso di abbandono delle istituzioni, corredato dalla serenità, ampiamente manifestata anche sui social, dall’aggressore che, per quello che ne sa, potrebbe aver lasciato la vittima agonizzante o peggio, è la voglia di farsi giustizia da sole che prende il sopravvento.
A causa del Covid, le donne del gruppo delle Fenici non hanno potuto accompagnare A.F. in pronto soccorso la sera di venerdì 8 maggio, sono stati gli stessi carabinieri ad accompagnarla, assicurandole che non l’avrebbero lasciata un minuto da sola, per poi raccogliere la denuncia e lasciarla lì fino all’uscita alle due di notte. Gli stessi hanno fatto pressione sulla donna, anziché aspettare i novanta giorni, consigliando una denuncia immediata, che avrebbe portato nell’arco delle 24/48 ore alla richiesta di uno stato di fermo o di un mandato di cattura, vista la pericolosità del soggetto. Nulla di ciò è avvenuto e, martedì, la donna si è rivolta a un avvocato penalista competente per richiedere un’ordinanza di allontanamento, in cui è stato coinvolto anche il gruppo delle Fenici e il C.A.T. a testimonianza della recidiva dell’aggressore, era stato infatti attivato un procedimento penale già dal mese di aprile. Ora la donna è in codice rosso, confermano i Carabinieri ma, dopo una settimana, nessuno si è interessato, di persona o con una telefonata, alla salute attuale della vittima, lasciandola anche all’oscuro dei provvedimenti presi nei confronti dell’aggressore.
A causa dell’attuale pandemia, le libertà dei cittadini sono state ampiamente limitate, incidendo non poco sul normale stato di diritto e a rischio di salatissime multe, eppure un uomo violento vive indisturbato la sua vita ed è già in cerca della prossima vittima, mentre una donna, che si è salvata a stento dalle botte, rischia di “morire di burocrazia”.
Di Rossella Famiglietti